17/09/2025
21.00
Lunaria Teatro
E’ l’ultimo testo scritto da Annibale Ruccello prima della sua tragica e prematura scomparsa. Un monologo femminile – composto da sette monologhi – in cui l’assenza degli altri personaggi si rivela presenza. In verità più che un monologo, Anna Cappelli potrebbe definirsi un immaginario dialogo a più voci. Una commedia a più personaggi tutti “visibili”, per merito di una tecnica drammaturgica capace di materializzare le assenze.
In un inquietante interno domestico si svolge una storia, dal tono degenerato fino al limite dell’irreale, dell’incubo, del grottesco, svelata in tutte le sue sfaccettature. La storia è ambientata negli anni ’60. Anna è un’impiegata che vive in una camera in affitto ed è alla ricerca di un progetto di felicità legato all’amore. Vuole un uomo e, soprattutto, una casa tutta sua ma, dopo l’abbandono da parte del compagno, la sua reazione sarà violenta e teneramente straziante.
Anna è una donna in lotta con i suoi demoni. Una vittima del suo tempo, della condizione della donna negli anni ’60: vittima di una società e di una morale che rifiuta, ma che non ha la forza di combattere e da cui non riesce ad emanciparsi. Le emozioni che Ruccello ci ha lasciato sono così tangibili da diventare fisiche. Ecco, infatti, la grande peculiarità di questo autore: fisicizzare i sentimenti dei disadattati e dei reietti.
Anna Cappelli è un crudo e implacabile spaccato dell’Italia dominata dalla sovrastruttura di una morale cattolica che Ruccello stigmatizza; è un testo “essenziale”, nel senso che va all’essenza del sentire umano. Una pièce che mostra sentimenti, veri o presunti, così fisici da poter essere ingurgitati.
Un testo con queste caratteristiche suggerisce di leggerlo in maniera essenziale, simbolica e straniata, in un allestimento scarno e descrittivo al tempo stesso, cercando di far coincidere le suggestioni dello stesso Ruccello con una certa epicità brechtiana. È una storia femminile tra emancipazione e orrore che, a distanza di quasi quarant’anni , conserva immutata una forza contemporanea. Un crogiuolo di contraddizioni che si dipanano dalla pièce con umorismo affilato, per scavare nei meandri della mente di una donna che rincorre la felicità attraverso rinunce e compromessi.
Il finale grottesco è frutto di una totale perdita di controllo, eppure appare come “unica soluzione possibile”. Nonostante tutto - Ruccello ci tiene a sottolinearlo - è un estremo atto d’amore. La sua sofferenza, anche se la spinge a un atto crudele e imperdonabile, desta compassione: nonostante sia tutt’altro che vittima, si immagina che, in passato, lo sia stata.
E’ l’ultimo testo scritto da Annibale Ruccello prima della sua tragica e prematura scomparsa. Un monologo femminile – composto da sette monologhi – in cui l’assenza degli altri personaggi si rivela presenza. In verità più che un monologo, Anna Cappelli potrebbe definirsi un immaginario dialogo a più voci. Una commedia a più personaggi tutti “visibili”, per merito di una tecnica drammaturgica capace di materializzare le assenze.
In un inquietante interno domestico si svolge una storia, dal tono degenerato fino al limite dell’irreale, dell’incubo, del grottesco, svelata in tutte le sue sfaccettature. La storia è ambientata negli anni ’60. Anna è un’impiegata che vive in una camera in affitto ed è alla ricerca di un progetto di felicità legato all’amore. Vuole un uomo e, soprattutto, una casa tutta sua ma, dopo l’abbandono da parte del compagno, la sua reazione sarà violenta e teneramente straziante.
Anna è una donna in lotta con i suoi demoni. Una vittima del suo tempo, della condizione della donna negli anni ’60: vittima di una società e di una morale che rifiuta, ma che non ha la forza di combattere e da cui non riesce ad emanciparsi. Le emozioni che Ruccello ci ha lasciato sono così tangibili da diventare fisiche. Ecco, infatti, la grande peculiarità di questo autore: fisicizzare i sentimenti dei disadattati e dei reietti.
Anna Cappelli è un crudo e implacabile spaccato dell’Italia dominata dalla sovrastruttura di una morale cattolica che Ruccello stigmatizza; è un testo “essenziale”, nel senso che va all’essenza del sentire umano. Una pièce che mostra sentimenti, veri o presunti, così fisici da poter essere ingurgitati.
Un testo con queste caratteristiche suggerisce di leggerlo in maniera essenziale, simbolica e straniata, in un allestimento scarno e descrittivo al tempo stesso, cercando di far coincidere le suggestioni dello stesso Ruccello con una certa epicità brechtiana. È una storia femminile tra emancipazione e orrore che, a distanza di quasi quarant’anni , conserva immutata una forza contemporanea. Un crogiuolo di contraddizioni che si dipanano dalla pièce con umorismo affilato, per scavare nei meandri della mente di una donna che rincorre la felicità attraverso rinunce e compromessi.
Il finale grottesco è frutto di una totale perdita di controllo, eppure appare come “unica soluzione possibile”. Nonostante tutto - Ruccello ci tiene a sottolinearlo - è un estremo atto d’amore. La sua sofferenza, anche se la spinge a un atto crudele e imperdonabile, desta compassione: nonostante sia tutt’altro che vittima, si immagina che, in passato, lo sia stata.
Con Sarah Pesca
Regia di Fausto Cosentino
OFFICINE DEL LEVANTE / LEVANTO MUSIC FESTIVAL AMFITEATROF
Con Sarah Pesca
Regia di Fausto Cosentino
OFFICINE DEL LEVANTE / LEVANTO MUSIC FESTIVAL AMFITEATROF